La vicenda della Fosca, narrata in prima persona dal protagonista, appare scarna di eventi esteriori, ma giocata quasi completamente sul piano psicologico. In essa è infatti ravvisabile l’interesse per l’introspezione e lo studio del caso patologico, caratteristica tipicamente naturalistica. La struttura del romanzo si presta invece a un’interpretazione simbolica: Giorgio è stretto tra due fuochi, rappresentati dalle due donne amate e dai loro caratteri antitetici, sottolineati allusivamente dai loro nomi. Clara, donna serena e solare, è simbolo di vita e di gioia, donatrice di salute al protagonista ammalato; al contrario, Fosca è la donna-vampiro, che succhia la linfa vitale all’uomo corrompendolo e portandolo alla morte. Ella è dunque la «donna fatale», alla quale non si può sfuggire, ma è allo stesso tempo un richiamo alla tomba, in un continuo rimescolamento dei due temi di amore e morte.
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“Ho raccolto con cura e qui espongo quanto ho potuto trovare intorno alla storia del povero Werther, e so che me ne sarete riconoscenti. Voi non potrete negare la vostra ammirazione e il vostro amore al suo spirito e al suo cuore, le vostre lacrime al suo destino. E tu, anima buona, che come lui senti l’interno tormento, attingi conforto dal suo dolore, e fai che questo scritto sia il tuo amico, se per colpa tua o della sorte non puoi trovarne di più intimi.”
Johann Wolfgang von Goethe
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La vicenda si svolge ad Ascoli Piceno nell’ambito della piccola borghesia segnata da difficoltà materiali e da carenze affettive. Due sorelle, tristi della loro solitudine, cresciute tra un padre vecchio e malato, una madre soverchiata dai dolori e dalle disgrazie e un fratello ritardato, consumano la loro sconfitta. Nessuna delle due incontrerà quella felicità che si identifica con l’amore, negato da un destino beffardo. Di caratteri opposti, Miriam, dolce e sottomessa, Severa, battagliera e aggressiva,di diversi sentimenti e aspirazioni, esse si trattano con rancore e diffidenza.
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Un libro che ha rievocato ricordi su Napoli. Le sue strade e le sue virtù. In un tempo in cui la danza poteva essere passione e professione anche per il prolietariato. E l’amore che termina in tragedia. “Così cominciava, nella notte d’inverno, la veglia funebre di Ferdinando Terzi conte di Torregrande, nella lurida stanza della Pension Suisse, fra il sangue del suicidio, assistito dal pianto, dai singulti, dalle interrotte parole di amore e di dolore di Carmela Minino, ballerina di terza riga, al teatro San Carlo”.
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